Diego Marinelli

“Se non si ha la conoscenza del processo dell’artigianato e del lavoro dell’operaio si può incorrere nell’errore di progettare cose inutili o non realizzabili”


La doppia dimensione di Diego Marinelli: industrial-designer e artigiano tradizionale.

L’avevamo a due passi da casa ma l’abbiamo scoperto alla Biennale MArteLive 2017, al Planet di Roma, tra i finalisti nel settore Artigianato.

Diego Marinelli, nato ad Albano Laziale nel 1982, vive e lavora nel Comune di Ariccia –‘A Riccia – fra le località più note e frequentate del territorio castellano sia per importanza storica, architettonica e paesaggistica sia per l’irresistibile richiamo gastronomico, ‘fraschette’ e ‘porchetta’ di antica tradizione. Un incontro gradevolissimo che si è svolto nella sua casa/bottega/esposizione in via di Valle Riccia, dove armoniosamente si fondono gli elementi di un vivere rispettoso dell’ambiente e dell’uomo.

intervista a Diego Marinelli

Salve Diego, abbiamo avuto modo di apprezzare le sue opere ora vorremmo conoscerla da vicino, vuole dirci di lei e del suo percorso professionale e artistico?

Volentieri. Sono nato ai Castelli Romani e credo molto in questo territorio. Mi sono laureato in disegno industriale nel 2008 con la specialistica in Transportation Design, ho collaborato per un periodo con il Centro di Ricerche Fiat Elasis di Pomigliano D’Arco in cui ho sviluppato alcuni sistemi per la mobilità ecosostenibile. Nel 2010 partecipo al toBeEco, un concorso d’idee e progetti riguardanti la sostenibilità ambientale, indetto dal Lingotto Fiere di Torino, in cui davano la possibilità ai vincitori di poter esporre gratuitamente per dieci giorni i prodotti selezionati all’interno della fiera Expo Casa.

Intanto un bell’approccio, selezionato alla sua prima partecipazione. È stata per lei un’esperienza indicativa oltre che gratificante?

Sì, da lì ho visto che c’era un forte riscontro da parte di chi osservava questi oggetti, quindi nasce l’idea di sviluppare una linea di più prodotti per poi magari venderli.

Un’idea immediata o già considerata?

Era la prima volta che mi cimentavo in questo settore, in realtà io venivo dal Transportation Design, un settore diverso dal designer orientato. Quindi ho rilevato che oltre all’apprezzamento dei visitatori c’era la possibilità di contatti diretti con persone comunque interessate in questo ambito.

Visti i risultati, partecipa ancora al toBeEco o a concorsi simili?

Sì, nel 2011 sono stato di nuovo selezionato al toBeEco proponendomi con altri prodotti. È andata molto bene, l’interesse cresceva di anno in anno. Appurai che nella zona di Torino, dove si svolgeva questo evento, si stavano aprendo anche degli Store in cui si promuovevano sia prodotti di eco-design realizzati con il riciclo e il recupero con processi virtuosi e sia design autoprodotto con sistemi di artigianato tradizionale. In seguito ho iniziato a progettare e a realizzare più tipologie di prodotti riguardanti il design d’interni, e l’interesse registrato a Torino l’ho riscontrato anche sul territorio di Roma.

Quando e come si propone sul mercato?

Nel 2011 ho fondato DIM Design Lab, studio di product design e laboratorio di produzione ecosostenibile di oggettistica e complementi d’arredo, proponendo tramite catalogo on line una serie di oggetti realizzati con materiali di riciclo.

Altre sue partecipazioni a eventi e manifestazioni riguardanti la sua attività?

Ho partecipato con Arti &Mestieri Expo alla Fiera di Roma per cinque anni consecutivi, dal 2012 al 2017, e con Moa Casa – Mostra di arredo e design – alla Fiera sull’arredamento. Cresceva l’interesse ad acquistare questi prodotti, quindi non solo apprezzare l’idea ma farli propri.

La sua partecipazione alla Biennale MArteLive 2017 con l’ottimo risultato conseguito: la sua impressione su questa imponente manifestazione? Pensa che vi parteciperà ancora?

Era la prima volta che partecipavo a questo concorso per le idee di MArteLive, sono stato selezionato e ho avuto modo di esporre al Planet lo scorso 5 dicembre. Bene per le contaminazioni, forse non del tutto adeguata la location. Comunque un evento importante, conosciuto e seguito a livello internazionale; più legato agli aspetti dell’arte pura, l’artigianato viene visto in modo più marginale. La serata d’apertura è stata molto ricca, tanti visitatori di forte sensibilità, percepivano la qualità dei prodotti e i messaggi che trasmettevano. Ha funzionato. Sì, parteciperò alla prossima Biennale anche perché ho altri prodotti da presentare.

Altre significative esperienze in campo?

Quest’anno ho avuto la possibilità di andare in Russia. Sono stato selezionato ed esponevo a Moa Casa, alla Nuova Fiera di Roma, e lì ho conosciuto Daria Sozikina, direttrice della scuola Liberum specializzata in lingua e cultura italiana. È iniziata una collaborazione con questa scuola, che il 2 marzo festeggia la Giornata del design italiano. Sono stato invitato a Mosca per una settimana e per l’occasione ho preparato una conferenza sul design autoprodotto italiano. Una corrente che non è di oggi ma deriva da una tradizione sviluppata anche da grandi designer, come ad esempio Enzo Mari (“Siate umani e progettate per il mondo”). La conferenza, aperta al pubblico, si è tenuta in uno dei centri di cultura ZIL – Associazione Italiani a Mosca – sorti nel periodo sovietico.

Che si è portato a casa da una simile esperienza?

Una carica molto positiva. Ho visto che l’importanza dell’eco-sostenibilità è anche l’aspetto del design autoprodotto, quel valore aggiunto molto percepito e valorizzato altrove, mentre in Italia si dà per scontato.

Il talento e la passione per il suo lavoro nascono con lei o fanno parte di una particolare formazione? Vuole dirci qualcosa di più sul suo privato?

Tutto inizia con nonno Orlando Marinelli, ragazzo di bottega ai Castelli Romani, in falegnameria. Acquisite le tecniche di base pian piano si mette in proprio coinvolgendo anche mio padre Aleandro, al quale ha trasmesso la passione e l’arte dell’ebanisteria. Inizialmente avevano la bottega a Santa Maria delle Mole, poi negli anni Settanta si trasferiscono e aprono insieme una falegnameria a Vallericcia.  Erano gli anni in cui Mondo Convenienza ancora non esisteva, si apprezzavano i prodotti artigianali anche perché si sa che durano una vita.  La falegnameria è andata avanti fino alla metà degli anni ’90, poi è stata dismessa. Arrivano i ‘grandi’ dell’arredamento e crolla il mondo dell’artigianato, non si poteva più stare dietro al mercato in modo competitivo. Ormai le persone fanno soltanto il riscontro del portafoglio. Il problema grande sta in questa creazione delle tendenze, un prodotto artigianale non è più visto come contemporaneo. Dare una giusta dignità ai prodotti è la cosa fondamentale.

Quanto incide la tecnologia nella sua produzione di eco-designer? Come si regola per il recupero dei materiali occorrenti?

La tecnologia è uno strumento che aiuta a non compiere errori, ma assolutamente non è elemento predominante. Mi dà la possibilità di vedere già realizzato e funzionante il prodotto e analizzare eventuali punti critici nello sviluppo della produzione. Per i materiali e i componenti si contattano produttori di determinati rifiuti, che possono essere il gommista, il meccanico, lo sfasciacarrozze.

Questi materiali non si possono reperire anche all’isola ecologica di zona?

Certo, sarebbe molto più semplice se ogni comune desse la possibilità di recuperare elementi utili, ma è reato portare via materiali dall’isola ecologica. Non si può fare.

Perché questa scelta del recupero riciclo e riuso con l’eco-design?

Presenta importanti vantaggi. Sia quello di offrire alle persone la metodologia per realizzare da soli il prodotto, anche con una minima manualità, sia prendere spunti o replicare idee. Una volta lanciato questo messaggio, si va a innescare un meccanismo virtuoso in cui il rifiuto non è più una problematica ma una risorsa. Un vantaggio enorme sia da un punto di vista delle materie prime sia del consumo energetico. L’eco-design parte da materie prime di seconda generazione, che spesso vengono gettate via senza essere valorizzate in altri ambiti. Quest’apertura mentale è fondamentale. È uno degli aspetti che gli italiani hanno nel loro DNA, stili di vita da riscoprire per un vivere più consapevole e rispettoso dell’ambiente. Non è che abbiamo una seconda chance, non si può dare per scontato che tutto sia infinito.

Davvero notevole la sua attenzione per la tutela e sostenibilità dell’ambiente, che riversa ampiamente nel suo operato. È una sua personale battaglia civica?

Sono vice presidente dell’Ass. Colle Pardo e tra i fondatori nel 2012.  Lottizzato e bloccato al Tribunale di Bari, sede del privato che lo possedeva, Colle Pardo, la sua parte di maggiore pregio, ambita dai costruttori, stava finendo all’asta. Andata nulla per tre volte l’asta, si era ribassato il prezzo e la proprietà è tornata al Comune. È importante sentirsi tutti responsabili.

La sua attività può far vivere una famiglia?

Al giorno d’oggi no, purtroppo no. Può compensare in gran parte.

Lei ha una seconda attività?

Una seconda attività prettamente virtuale: progettazione industriale e computer grafica.

Prospettive?

Si spera che questo momento di crisi e instabilità economica passi. E magari le persone saranno più propense a investire su prodotti di qualità che abbiano un’anima, e non prodotti in serie.

Quanto incide l’artigianato nel suo lavoro di industrial-designer?

È determinante, mi dà la visione completa di quello che faccio. Se il designer si distacca dall’aspetto della produzione è sbagliato. Si deve invece capire come raggiungere l’obiettivo in modo ottimizzato. Se non si ha la conoscenza del processo dell’artigianato e del lavoro dell’operaio si può incorrere nell’errore di progettare cose inutili o non realizzabili.

intervista a cura di Maria Lanciotti

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