“Entro quest’anno chiudo. Per me è un dolore. Lo Stato dovrebbe lasciare in pace gli artigiani. Sto cercando qualche ragazzo che voglia continuare”.
Nato a Cisterna di Latina (LT) nel 1952, Edelvisio Giorgi, Visio per gli amici, frequenta la scuola di formazione professionale a Velletri (RM) e subito dopo inizia a lavorare in fabbrica, un lavoro logorante e ripetitivo che ben presto decide di lasciare e per felice combinazione intraprende la lavorazione del vetro, di cui apprenderà segreti e tecniche – dalle vetrate artistiche alle incisioni su vetro, al Tiffany – che affinerà e riverserà nel suo lavoro fino ad oggi, nella sua bottega di vetraio artistico a Velletri, in via del Comune 52
Intervista ad Edelvisio Giorgi
Visio, vetraio artistico per scelta o per caso?
L’uno e l’altro. Subito dopo la scuola trovai lavoro in una fabbrica a Cisterna, si chiamava ICAI, Industria Ceramica Artistica Italiana. Era un bel lavoro, mi piaceva disegnare ma era stancante, otto ore su un trespolo con la mattonella davanti, la sera quando staccavi chiudevi gli occhi e uscivano le lacrime. Avevo sedici anni e pensavo che continuando così presto avrei dovuto portare gli occhiali. Allora decisi di andarmene.
Aveva già individuato altre prospettive di lavoro?
C’era un mio cugino che lavorava a Latina in una grossa vetreria, e siccome si andava sempre in giro fra i cantieri, un giorno in un posto un giorno in un altro, il lavoro mi piaceva. Sono andato lì e ci sono rimasto per 28 anni, fino al ‘96.
Che cosa accade nel 1996, perché abbandona un lavoro che le piaceva?
Nel ’96 è cominciata la grande crisi con l’inchiesta ‘Mani Pulite’ e i grossi appalti che non c’erano più. Fra gli ultimi importanti lavori c’è stato il taglio dei blindati allo stadio olimpico di Roma, gradinate ecc., i centri commerciali Latinafiori e Morbella, la Banca Pio X a Velletri, tutti lavori che noi facevamo per altri. Poi con la crisi iniziano i licenziamenti, ma io questo l’avevo già intuito quando dal 1992 in poi le cose cominciavano a non andare bene e io avevo preso a interessarmi ad altri settori.
Sempre nella lavorazione del vetro?
Sì, in particolare nel settore artistico. Non c’era internet a quei tempi e per informazioni e scambio di conoscenze si doveva chiedere a persone che erano gelose del proprio lavoro e non ti davano indicazioni utili per poterlo realizzare. Ma la testardaggine alla fine vince, e trovandomi in cassa integrazione mi ero costruito un bel laboratorio a casa, dove facevo esperimenti.
Pensava già di mettersi in proprio?
Forse. In quel periodo la fortuna mi ha aiutato, ho conosciuto in casa di amici Giorgio Cassoni, un noto artista di Cisterna che aveva tra l’altro frequentato – con altri due italiani – un corso europeo per vetratisti. Gli dissi che facevo vetrate artistiche ma quando ho visto i suoi lavori ho capito che io ero zero.
La persona giusta al momento giusto: che cosa nacque da quell’incontro fortunato?
Io ero in mobilità per un anno e ho seguito un suo corso, sono stato tutti i giorni insieme a lui, ho imparato tutti i segreti della vetrata artistica. Giorgio Cassoni – adesso insegna, è diplomato in Storia dell’Arte – aveva talento, era bravissimo, però mancava della manualità del taglio del vetro.
Un abbinamento perfetto: talento e tecnica. Pensaste di mettere insieme queste vostre doti per un’attività comune?
Cassoni mi chiese se volevamo aprire insieme un negozio, ma io non volevo perdere il mio posto di lavoro e tanti anni di contributi. Non ho mai lasciato il certo per l’incerto, non ho mai fatto passi più lunghi della gamba. Cassoni allora si mise insieme con un altro ragazzo poi si scoprì che non andavano d’accordo e chiusero il negozio.
Lei riprese il suo lavoro nella vetreria a Latina?
Rientrai solo per pochi mesi poi fui licenziato nel ’96. Quella mobilità non portava più a nulla. Avevo ancora tre anni di cassaintegrazione e me ne servii per mettere su un negozio per conto mio, primo vetraio artistico a Velletri.
“Arte Vetro” di Bagnasco Barbara in via del Comune 52: come mai non è lei il titolare?
Titolare è mia moglie, l’attività serviva anche per il versamento dei contributi. Lei badava al negozio e io facevo i lavori. Poi ho avuto la fortuna nel 1998 di trovare un impiego come autista di Scuolabus e portavo avanti la famiglia.
L’attività non era sufficiente per vivere?
Il negozio mi è servito come integrazione e per farmi conoscere, però per mandare avanti la baracca occorreva lo stipendio a fine mese. L’impiego come autista di Scuolabus l’ho portato avanti fino al 2010.
E adesso?
Apro il negozio il 15 aprile 1997. Adesso, dopo vent’anni, chiudo il negozio. E questo mi dispiace.
Questo lavoro porta con sé una passione?
Sì, assolutamente. E avrei voglia di continuare. Per me questo lavoro è stato sempre qualcosa da inseguire. Ogni volta che imparavo a fare una cosa mi veniva in mente di farne un’altra.
Qualche particolare momento da ricordare?
A Velletri la partecipazione all’esposizione degli Artigiani per il Festival delle Camelie nel 1998. Presidente onorario era il regista Gillo Pontecorvo.
A cosa sta lavorando al momento?
Adesso sto facendo questa lampada, sono tre bomboniere per mia figlia che sta per sposarsi. Un’altra esperienza.
E allora? Perché chiudere bottega?
Mi sono stancato, questi lavori non vanno più bene, non c’è richiesta non c’è soddisfazione. Anche lo Stato, secondo me, dovrebbe lasciare in pace gli artigiani. Io ho negozio di artigiano, non mi devi dare niente, però non devo pagare le tasse anche se non incasso. La grossa distribuzione sta uccidendo tutti, in tutti i campi. Più questo succede e più aumentano le tasse. A 65 anni, espletato tutto quello che dovevo ai fini della contribuzione, voglio stare tranquillo. E dentro un negozio tranquillo non ci stai mai, perché se ti viene un controllo qualcosa lo trovano sempre. Io penso di essere in regola su tutto, ecco il blocchetto delle ricevute, non m’interessa evadere, perché chi è che evade? chi fa i grossi guadagni. Se non riesco a realizzare nemmeno quello che serve per mandare avanti la baracca, è inutile.
Che cosa chiede in definitiva allo Stato?
Ci vorrebbe solo quell’aiuto a stare tranquillo. Se io devo stare qui dentro solo per la mia soddisfazione personale e rischiare multe salate magari perché hai dimenticato di mettere un timbretto, preferisco lavorare a casa e fare regali ai miei figli, come questa lampada bomboniera per mia figlia che sta per sposarsi o questa Tiffany per l’altra mia figlia. Il Tiffany non è un lavoro facile, dieci giorni di lavoro, vetro pregiato, base in bronzo, se dovessi venderla costerebbe tantissimo, dai cinesi con 300 euro la prendi.
Nessuno della famiglia è interessato a proseguire l’attività?
No. Oltretutto, onestamente, se dovessi dire alle mie figlie di prendere questo lavoro sarebbe solo per passione e allora potrebbero farselo anche a casa. Ultimamente ho dovuto attingere alla pensione per pagare le spese.
Pensa che questa situazione valga per tutta la categoria? Senza scampo?
Conosco colleghi che fanno i vetrai a tempo pieno. Poi se capita una vetrata artistica, un’incisione, fanno il lavoro ma non vivono soltanto di quello. Qui non siamo a Roma, in via Margutta o in via Frattina. Se lo fai per passione, lo fai solo per passione, ma se si parla di soldi non vale più la pena.
Dunque si chiude bottega. Sa anche quando? Come pensa di sistemare tutta questa roba, tra macchinari e materiali?
Entro quest’anno chiudo. Sto cercando qualche ragazzo che voglia continuare. Su Fb mia figlia ha messo l’annuncio che si cede l’attività. Mi auguro di poter sistemare il materiale perché il locale è in affitto. Sto allargando la voce. Io lavoro da quando avevo 14 anni, sono in pensione dal 2010 perché ho avuto la fortuna di andarci due mesi prima della Legge Fornero. Se qualcuno volesse rilevare l’attività per me sarebbe un piacere stare qui dentro e aiutarlo, passargli le mie conoscenze, la mia esperienza, risolvere insieme problemi se si presentano. Se c’è qualcuno interessato l’accompagno più che volentieri, piuttosto che prendere i macchinari e portarmeli a casa e non sapere che farne. È un dolore per me chiudere l’attività.
intervista a cura di Maria Lanciotti