Bruno Mosca

L’arte del rame ha un forte radicamento nel territorio laziale, legata com’è agli oggetti di uso quotidiano. A Palestrina Bruno Mosca lavora da sempre nella bottega di famiglia, ultima rimasta di una lunga tradizione di botteghe andate ormai perdute. Grazie alla sua grande passione, trasmessa e condivisa con il figlio Federico, sta preservando le conoscenze e le competenze della sua arte nel tentativo di proiettarla verso le sfide del nuovo mercato globale.


Intervista a Bruno Mosca

Quali vicende storiche legano il vostro laboratorio a Palestrina?

Prima il rame era oggetto di casa, l’oggetto principale per la donna e i casalinghi in questa zona. Qui c’erano molti ramai, Palestrina era rinomata per questi lavori. Mio nonno aveva una ditta con degli operai, ma l’innovazione tecnologica suggerì di creare, intorno alla metà degli anni ’30, una società un po’ più organizzata con macchinari elettrici. Questa società prese vita dall’unione di tre botteghe, la Cianfruglia, la Bernascola e la Mosca.  All’inizio le cose andarono bene, ma poi con il trascorrere degli anni e, col subentrare dei nipoti, le divergenze divennero insanabili e la società fu sciolta. Si formarono quindi tre ditte separate, due delle quali sopravvissero fino agli anni ’80, in seguito altre due piccole società nacquero dall’iniziativa di operai che avevano lavorato da noi, ma sono sparite dopo poco. Ora siamo rimasti solo noi in città.

Su cosa vi siete specializzati?

Premetto che abbiamo sempre evitato di entrare in concorrenza con le altre botteghe di zona. Ognuno produceva i propri prodotti senza tentare di danneggiare gli altri. Noi abbiamo prodotto oggetti per la casa, conche, e infine siamo passati ai mignon. I mignon erano un prodotto prettamente turistico così come le bomboniere, con l’aumento del turismo andarono di gran moda. Poi il commercio è diventato sempre più difficile, le importazioni dalla Turchia hanno ucciso l’artigianato locale, i loro prezzi erano troppo bassi per competere. È più difficile ora col mercato globale rispetto a quando c’erano molte botteghe in un piccolo paese.  

Quanto è stato difficile imparare a lavorare il rame?

Ho imparato a tredici anni una volta finite le scuole medie, guardando mio padre; non ho fatto nessuna scuola specifica. Abbiamo tramandato  le forme tra di noi cercando di migliorarle sempre, di creare nuovi stili e di innalzare la qualità degli oggetti prodotti. Però siamo rimasti sempre nella tradizione, e attraverso l’esperienza abbiamo imparato a fare tutto. Oggi la produzione in piccola serie è finita, ora facciamo cartelloni pubblicitari in rame e alluminio, insegne antiche, oggetti per architetti, decorazioni per camini, tavoli in rame. Non facciamo pubblicità ma gli addetti ai lavori ci conoscono bene.

Nessuna pubblicità? Non avete mai pensato ad investite nella comunicazione?

Si, specialmente con le Pagine Gialle, ma spendevamo un milione l’anno per non ricavare praticamente nulla. Ora abbiamo un sito internet per rimanere al passo con i tempi, ma gli ordini online creano problemi con la produzione intensiva, i piccoli oggetti fanno lievitare i costi e non ci fanno guadagnare, è inutile negare che ci sono difficoltà. Poi alcune volte arrivano richieste impossibili, ovvero creazioni uniche a prezzi stracciati. Le persone non capiscono tutti i passaggi che richiedono certi lavori.

Eseguite ancora lavori a mano?

Si, quando ci vengono richieste facciamo ancora piccole lavorazioni a mano, ma tante cose non si fanno più perché i tempi di lavorazione non possono essere tradotti in un giusto compenso. Quindi abbiamo anche decorazioni già stampate. Lavorare su forme tonde certifica la maestria di chi lavora il rame, quelle dritte sono piuttosto facili da realizzare, ma con le mani si arriva fino ad un certo punto. In pratica facciamo quasi tutto col tornio, lavorando la lastra alla stessa maniera dell’argilla. La saldatura poi deve scomparire, e anche lì risiede la bravura dell’artista. Poi bisogna scaldare il rame fino a 500 gradi per rilavorarlo, a quel punto assume un colore rosato. Un segreto: per lavorarlo bene ci vuole la penombra, non la luce.

Quanto ha influito l’area di Palestrina sui vostri lavori?

Gli operai hanno creato negli anni quest’influenza, trasmettendosi le conoscenze come in una sorta di passaparola applicato al lavoro. La conca con il collo stretto, ad esempio, era tipica delle nostre parti, anche se si chiama conca romana. Quelle con un collo più largo sono invece riconducibili all’area abruzzese.

Nella Sua lunghissima carriera Le sono mai capitati lavori particolari?

Beh, molti bravi ramai lavorano e lavoravano a Cinecittà. Per il remake di Ben Hur ci hanno chiesto dei pezzi per realizzare i mozzi delle ruote delle bighe, perché hanno inserito dei freni a disco per la sicurezza degli attori. Noi abbiamo realizzato la coppa che conteneva i freni, una richiesta molto singolare.

Ha degli aneddoti particolari sulla bottega?

Mio padre durante la guerra andava nei campi per reperire i materiali di scarto in ferro, sia di natura bellica che non. Realizzava poi delle padelle o delle conche, questo perché durante la guerra il rame veniva requisito dalle case con la forza data l’elevata richiesta per la fabbricazione delle armi. Specialmente quando Palestrina fu bombardata e le case abbandonate ci furono espropri e razzie. Molto materiale fu invece lasciato nei campi dopo che gli alleati liberarono queste zone lasciando dietro di molte macerie.

C’è ancora mercato per gli oggetti in rame?

Il mercato è ridotto all’osso, prima non c’era giorno in cui qualche turista di passaggio a Palestrina  si fermava e acquistava qualche nostro prodotto. Oggi invece passano intere settimane senza che un cliente acquisti qualcosa. Anche a Roma non c’è più nessuno; noi rifornivamo negozi a Piazza di Spagna, Piazza Barberini e in generale in molti luoghi turistici della città, ma poi sono arrivati gli ambulanti che esponendo i loro oggetti in strada, accanto alla roba cinese, hanno completamente tolto valore alle nostre produzioni.

1 comment for “Bruno Mosca

  1. Questa come molte altre realta’ di lavoro e sapienza stanno affrontando il cambiamento imposto dalla globalizzazione, i senza mezzi necessari per governarlo!

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