Riprendiamo l’articolo a cura del Prof. Ugo Patroni Griffi – Ordinario di Diritto Commerciale nell’Università di Bari, Professore di Diritto Commerciale alla LUISS di Roma – sull’ URGENZA di Riforma della Legge Quadro nazionale sull’Artigianato del 1985.
“Artigianato italiano: è ora di una grande riforma!
Il nostro patrimonio fatto di mani sapienti, tradizioni e innovazione rischia di restare bloccato da una legge del 1985.
In 15 anni abbiamo perso oltre 220.000 imprese artigiane. Un intero mondo fatto di qualità, passione e cultura sta scomparendo tra burocrazia, limiti antiquati e assenza di ricambio generazionale.
Serve una nuova legge che:
Rimuova i vincoli di crescita per le imprese
Apra all’innovazione e alle nuove tecnologie
Semplifichi le regole
Riconosca l’artigianato come bene culturale
Dalle ceramiche di Vietri ai vetri di Murano, fino ai marmi di Carrara, l’artigianato non è solo economia: è identità italiana.
Come FaròArte per il #MadeinRome auspichiamo un confronto pubblico !
Artigianato, urge la Riforma.
di Ugo Patroni Griffi /Ordinario di Diritto Commerciale nell’Università di Bari, Professore di Diritto Commerciale alla LUISS di Roma
L’artigianato italiano, patrimonio inestimabile di competenze, tradizioni e innovazione, si trova oggi a un bivio cruciale. La Legge quadro 443/1985 che, da quasi quarant’anni regola il settore, mostra ormai tutti i segni del tempo, rivelando limiti strutturali che rischiano di soffocare anziché sostenere un comparto fondamentale per l’economia e l’identità culturale del Paese.
Concepita in un’epoca pre-digitale e pre-globalizzazione, la Legge 443/1985 riflette una visione dell’artigianato ormai (e da tempo!) superata dalla realtà. In particolare, i limiti dimensionali imposti dalla legge quadro, rappresentano un vero e proprio effetto di cristallizzazione per le imprese che volessero crescere mantenendo la propria identità artigiana. Questi vincoli, insieme alla rigidità dei requisiti settoriali utilizzabili dall’impresa artigiana, finiscono per “costruire la bara” normativa ed economica dell’imprenditore artigiano.
La definizione di imprenditore artigiano fornita dalla legge quadro appare alquanto anacronistica: se è con il “Pa” l’artigianato – alle soglie di una rivoluzione industriale contraddistinta da una sempre più grande tradizione, tecnologica e intellettuale – continua a essere letto solo come attività manuale e personale, si rischia di escludere dal perimetro dell’artigianato realtà illustrissime e di grande valore che approcciano all’innovazione, al digitale e nella personalizzazione, con strumenti tecnologici avanzati.
Dietro questo ritardo è chiaro: dal 2008 a oggi il settore ha perso oltre 220.000 imprese e, complice il cambio generazionale, sempre più imprenditori costretti a chiudere l’attività al momento del pensionamento per mancanza di chi voglia succedergli nella prosecuzione dell’attività d’impresa.
Il settore affronta sfide cruciali: digitalizzazione, sostenibilità, accesso al credito e supporto, capacità di attrarre i giovani talenti. La legge attuale, anziché facilitare questi processi di trasformazione, li ostacola con paletti burocratici ed eccessive restrizioni che non pongono in condizione le imprese di poter evolvere e innovare.
La riforma della legge quadro, oltre che necessaria, rappresenta un ripensamento complessivo del sistema.
Come sottolineato dal responsabile di Confartigianato Marco Granelli, «non si tratta solo di una semplificazione normativa, ma di un vero e proprio intervento politico e culturale per restituire prestigio a un mondo del lavoro troppo spesso marginalizzato».
A mio avviso, la riforma dovrebbe essere:
- la rimozione dei vincoli dimensionali, per cui le aziende che superano determinati limiti di dipendenti o di fatturato non devono essere escluse senza perdere la qualifica artigiana;
- la ridefinizione dei concetti di artigianato e dei modelli di business compatibili con una nuova definizione (inclusione dell’intelligenza artificiale, del digitale, della manifattura 4.0);
- la previsione di strumenti di sostegno all’innovazione e alla digitalizzazione, per aiutare le imprese artigiane a competere sui mercati globali mantenendo la propria identità;
- la semplificazione burocratica volta ad alleggerire il peso amministrativo (stimato in circa 8.000 miliardi di euro per le piccole imprese).
L’artigiano italiano non è solo un settore economico, ma un patrimonio culturale che rischia di andare perso se non adeguatamente riconosciuto e difeso. Le oltre 70.000 imprese artigiane di eccellenza rappresentano un tessuto produttivo unico che affonda le proprie radici in saperi antichi, spesso trasmessi di generazione in generazione. Le ceramiche di Vietri o di Vicolo di Creta, il Vetro di Murano o i marmi di Carrara.
La riforma della legge quadro deve porsi l’obiettivo ambizioso di riconoscere all’artigianato italiano lo status di «bene culturale». Un riconoscimento che non cristallizzerebbe il settore in una dimensione museale, ma lo proietterebbe verso il futuro, valorizzandone la capacità di produrre innovazione a partire dalla tradizione.
Il 2025 rappresenta dunque un’opportunità irripetibile per affrontare questa sfida epocale, e normare un settore che merita non solo tutela, ma visione e ambizione. In questo senso, rilanciare il Made in Italy e il lavoro artigiano come leve di un nuovo sviluppo passa anche per un rinnovamento culturale e normativo che restituisca all’artigianato il ruolo che merita: essere un’eccellenza assoluta del nostro Paese.”