Mariella Acquaviva è una sarta specializzata in camicie su misura per uomo. Nata in un piccolo paese della Puglia, ha trasferito tutta la sua abilità manuale nel territorio romano, a Fonte Nuova, dove nel suo piccolo ed elegante negozio soddisfa ogni giorno le richieste di una clientela attenta e cordiale, la stessa che si può incontrare nei paesini del Sud.
Intervista a Mariella Acquaviva
Com’è nata la sua passione per la sartoria?
Ha proprio origini antiche, risale a quando ero piccolina. Io sono nata in un paesino della Puglia e lì noi bambine non potevamo giocare per strada, dovevamo imparare un mestiere e il mestiere che facevano un po’ tutti era ricamare o cucire. All’età di cinque anni sono stata inviata da mia mamma da una sarta lì vicino a imparare a ricamare e da lì, dato che ero bravina, ho proseguito con l’uncinetto, ho fatto il corso di taglio e cucito da donna, da uomo. Avendo quattro fratelli mi sono specializzata in pantaloni e camicie ed eccomi qua. Nel contempo crescendo ho anche frequentato la scuola, magari studiando avrei potuto cambiare questa inclinazione, che non credo fosse nata spontaneamente a cinque anni, anche se faceva parte di me. Sono diventata stenodattilografa e ho lavorato sette, otto anni in uno studio legale, ma per una questione anche organizzativa legata alla famiglia e ai figli ho preferito continuare questa attività che potevo svolgere anche in casa badando ai figli, era un lavoro che potevo gestire con molta tranquillità.
Lei porta avanti una tradizione di famiglia?
No, mia mamma in gioventù ha lavorato pure lei in questo ambito essendo nata a Martina Franca, che è una cittadina piena di piccole industrie che realizzano confezioni, però lei faceva un lavoro meccanico. Venivano tagliati i capi e le ragazze li assemblavano. Perciò non era proprio un lavoro artigianale, dove si crea, perché secondo me il lavoro di sartoria è bello anche per questo, perché puoi creare e inventare un vestito in base alla persona, ai difetti fisici. E lì c’è anche una soddisfazione alla fine, non è il lavoro meccanico di assemblare i capi. Perciò nella famiglia in cui sono cresciuta sono l’unica ad aver portato avanti quest’attività.
Che tipo di lavori le vengono richiesti?
Un po’ tutto. Io sono veramente tanti anni che lo faccio, possiamo dire cinquant’anni, perché ho iniziato a cinque anni col ricamo, ne ho 54, perciò possiamo dirlo in pieno. Mi è capitato di tutto, viene la ragazza che anche se ha un fisico perfetto ama farsi cucire gli abiti su misura, arriva la persona anziana che ha un problema fisico ed è costretta a rivolgersi alla sarta, clientela che desidera rinnovare un capo, si girano i colli, si cambiano le fodere, veramente è ampio. C’è anche il discorso della camicia su misura che vedo che è ritornato tantissimo anche tra i giovani.
Le chiedono più di creare capi originali o di sistemare quelli già acquistati?
Adesso, in questo momento di crisi, si lavora tanto sul vecchio, io lo definisco così. Si tratta di persone che in passato hanno avuto dei capi importanti che tengono nell’armadio, li rinnovano, cambiano le fodere e c’è più richiesta da questo punto di vista. In maniera minore che negli anni passati c’è anche la richiesta dell’abito su misura. Piace proprio il vestito fatto addosso.
Ricorda delle richieste particolari?
Ci può essere in alcuni casi la persona un po’ estrosa, qualcuno mi ha chiesto la camicia con metà collo di un colore e metà di un altro. Però, devo dire la verità, sono poche, non ci sono richieste proprio strane.
Lei realizza anche abiti da sposa?
Sì, ma non ne realizzo molti perché c’è un problema da affrontare. A me questo lavoro piace tantissimo, lo faccio per tante ore al giorno, però non avendo collaboratori validi con cui poter suddividere il lavoro, uno taglia, l’altro cuce e viceversa, sono costretta a svolgerlo da sola, perciò sono costretta a non accettare quei lavori che richiedono tempi molto lunghi, perché dovrei dedicarmi solo a quello e riuscirei a realizzare solo due o tre abiti da sposa al mese al massimo. Riesco a fare un po’ tutto secondo le possibilità, secondo i tempi.
In cinquant’anni di carriera che cambiamenti ha notato nel suo settore?
Questo è un lavoro che va secondo le crisi e al benessere. Più di dieci anni fa, prima dell’entrata del famoso euro, ho lavorato tantissimo sul nuovo, la gente comprava e anche sul nuovo c’è bisogno della sarta perché bisogna accorciare le maniche, stringere un po’, fare l’orlo e si lavorava tantissimo sulle riparazioni e in aggiunta era richiesto il pezzo di seta, il tubino di seta per le serate particolari, l’abito lungo, addirittura alcune ragazze mi hanno chiesto il classico tailleur per la laurea e il vestito per la festa. Si sono fatte creare e cucire anche quello. C’era di tutto e si lavorava veramente tantissimo. Adesso, si lavora comunque e tanto sul vecchio. La differenza che ho notato è quella, perché quando c’è il benessere uno dice “Ma perché devo rinnovarlo? Lo compro”. Quando poi comincia la crisi la gente comincia a dire “Ritiro fuori quello invece di acquistarlo, comunque è un capo buono, spendo di meno, ho il capo buono da poter indossare”.
Secondo lei che caratteristiche deve avere un artigiano oggi?
Oggi, come ieri e come sempre, io parlo nel mio piccolo, l’artigiano deve avere prima di tutto la passione per il proprio lavoro. Lo devi fare come se stessi creando per te, io almeno faccio così. Vedo la persona, do il consiglio e poi creo il capo e mentre lo realizzo dico “Ok, lo faccio come se lo stessi facendo per me”. Nel senso, che metto attenzione su tutti i minimi particolari e questo comporta impiegarci tante ore, quando viene il cliente che fa la famosa prova se non va bene bisogna smontarlo e rimontarlo e lì bisogna avere passione, pazienza, professionalità, perché devi sapere anche consigliare in base alla persona che ti si presenta, non tutti i modelli stanno bene alle persone, bisogna avere anche la capacità di convincere il cliente che magari quello che ha chiesto non è idoneo, ma potrebbe stargli bene un altro modello. Se si fa con passione e con amore, nonostante tutte le difficoltà si può sopravvivere.
Lei ha la possibilità di insegnare la tecnica a degli allievi?
Avrei tanto voluto farlo per un semplice motivo, ho difficoltà a trovare gente che sappia lavorare bene e possa darmi una mano e allora mi era venuta l’idea di trovare delle ragazze giovani alle quali trasmettere per prima cosa non la tecnica, la passione per il lavoro. Cioè far capire a queste giovani ragazze che anche fare un orlo sul pantalone che si è acquistato può portare le sue piccole soddisfazioni. Cioè far venire l’amore per questo lavoro e poi piano piano istruirle, perché non è un lavoro che si impara in poco tempo. È vero che c’è tanta manualità, c’è poca teoria, però quella poca teoria bisogna assimilarla bene. Poi di pratica ce n’è tanta. Perciò io penso che per diventare una brava sarta un anno e qualcosa ci vuole tutto. Momentaneamente non ho il tempo materiale per poterla realizzare, però non abbandono mai l’idea, perché se dovessi trovare un valido collaboratore o collaboratrice, avere un po’ di spazi, sono anche disposta a sacrificarmi di domenica.
Le è capitato di vedere delle ragazze interessate? Adesso va molto di moda il cucito creativo.
Mi è capitato di vedere qui, da quando abbiamo aperto tre, quattro ragazze che frequentano l’Accademia di Moda, stiliste in particolare. Le ragazze che ho conosciuto creano, inventano un modello particolare, lo disegnano, ma poi trovano enorme difficoltà nel realizzarlo anche su carta, su tela, perché dovrebbero far delle prove per vedere quello che hanno studiato, quello che sanno fare e quindi si rivolgono a me. Per questo penso che sia importante la pratica, perché la teoria c’è, come prendere le misure, come realizzare un modello ecc. Però poi è fondamentale la pratica, perché senza la pratica la stilista rimane lì bloccata. Ecco perché penso che se nel mio piccolo potessi mettere in atto questo progetto di poter istruire le ragazze sarebbe ottimo.
Lei ha avuto l’attività sempre qui a Fonte Nuova oppure si è spostata?
No, io prima lavoravo a Roma, a Casalbertone, ero dipendente, gestivo il negozio di una mia amica che era simile a questo e poi io e mio marito abbiamo aperto qui, nel settembre dell’anno scorso. Devo dire la verità, non immaginavo che sarebbe andata così bene da subito.
Qui avete trovato un bacino più grande di clienti?
Sì, più della città. Qui il confronto lo posso fare benissimo. Ho lavorato anche per una sartoria in via Veneto e ci sono le stesse modalità. C’è tanta gente che compra il nuovo, ripara, però il culto della camicia su misura nella grossa città io l’ho riscontrato meno. Invece qui, forse perché è più a livello di paese, c’è tanto il culto dell’abito su misura, lo riscontro di più. E c’è più contatto umano, come in un paese, se arriva la persona anziana oltre l’orlo e la lampo cerca proprio il dialogo, la parola, perché oggi gli anziani sono soli e allora viene la persona, si guarda intorno, fa i complimenti del negozio, però poi percepisci che vuole un attimo d’attenzione e allora lì si chiacchiera del modello.
A Roma ci sono numerose produzioni teatrali e cinematografiche, lei ha avuto occasione di lavorare per il mondo dello spettacolo?
Devo dire la verità, non molto. Conosco gente dello spettacolo, però in quel caso bisogna prendere una decisione, o dedicarsi totalmente a quel ramo o mantenere un’attività come la mia, con la clientela privata. Non ce l’avrei mai fatta, perché ho un’amica che è sposata con un attore e in passato, tanti anni fa, mi chiese di collaborare. Però ho visto che era molto impegnativo, perché devi recarti lì, vedere i modelli, prendere le misure, puoi anche svolgerlo privatamente a casa, però c’è bisogno di molto tempo e allora io nel mio piccolo non l’ho preso in considerazione.
Che provenienza hanno i tessuti che adopera?
Io posso parlarle per quanto riguarda il tessuto della camiceria, che è abbastanza vasto, ci sono vari tessuti: c’è la camicia di cotone, quella di rasatello, doppio ritorto, c’è veramente un’ampia scelta. Io utilizzo solo tessuti italiani, nel senso che prendo qualcosa qui su Roma dal fornitore che abbiamo, che fornisce buoni tessuti. Per la maggior parte dei tessuti mi rivolgo su, in alta Italia. Perché si trovano tessuti di buona fattura con prezzi accessibili, riusciamo ad avere qualità e tutto quanto con un prezzo contenuto. Con i rappresentanti c’è un buon rapporto, sono molto preparati, molto professionali e ci si lavora bene. Per quanto riguarda Roma, devo dire la verità, noto con l’esperienza che quello che arriva è sempre quello che parte da su. Perciò magari a volte si arriva direttamente alla fonte.
Qual è il suo rapporto con la materia? C’è un tessuto che predilige?
Ognuno di noi ha le sue preferenze, a me personalmente piace tantissimo lavorare, per quanto riguarda l’abito da uomo, il classico fresco lana, per le donne, invece, quando lavoro tessuti come voile, seta, chiffon, come l’abito da sposa, mi devo armare di più pazienza. Perché il cotone si lavora più facilmente.
Quanto tempo della sua attività è destinato alle incombenze burocratiche durante l’arco di una giornata o di una settimana?
Di una giornata non tanto, tranne gli scontrini fiscali, però sono cose che uno si mette in regola dall’inizio, quando apre l’attività. Le cose che uno deve tener presente sono le scadenze trimestrali, l’IVA, il commercialista, che a volte presi dagli impegni lavorativi si trascurano e si va quasi in affanno, perché bisogna accantonare un attimo il lavoro e sbrigare queste cose burocratiche che non ti lasciano spazio.
Come ha vissuto più in generale la relazione col territorio di Roma? Ha trovato un terreno interessante per sviluppare quest’attività?
Molto interessante. Se fossi rimasta nel mio paese e avessi voluto aprire una sartoria avrei fallito miseramente perché non sarebbe venuto nessuno, ognuno lo fa di suo. Invece Roma è un terreno molto fertile da questo punto di vista, perché nelle grosse città vedo che questo lavoro non lo fa quasi nessuno, anche se ultimamente ne sono nate tantissime, anche con molti stranieri. All’inizio le sartorie gestite da stranieri sono andate molto perché il prezzo era bassissimo, però poi non lavorando bene, non essendo professionali, la gente si è riversata di nuovo sulle classiche sartorie come la nostra.
C’è anche un’altra questione che minaccia la sartoria artigianale: il ricorso alla serializzazione e alle macchine per ridurre i tempi.
A me è capitato di vedere abiti firmati che necessitavano di essere adattati. Per fare questo lavoro io apro l’abito, levo la fodera, guardo all’interno e vedo che l’orlo è “svelto”, come diciamo noi, un tipo di orlo che io non uso mai, praticamente incollato. In quel caso fanno pagare l’abito anche più di 100 euro, però è un lavoro in serie, di produzione, incollato, fatto in maniera non artigianale, a livello industriale.
Ci può descrivere un lavoro di sartoria che sta realizzando in questo momento?
Vi posso parlare di un prototipo per una signora che ha dei problemi a livello di braccia, è una giacca classica molto semplice. Viene fatta una prima prova e poi viene finita. È un lavoro totalmente manuale. Perché la cliente avendo dei problemi fisici dovuti un po’ all’età, è un po’ curva, ha il seno robusto e i fianchi magri, non trova un abito confezionato adatto e preferisce farlo su misura.
Lo disegnate praticamente insieme?
Sì, la cliente esprime i suoi desideri e lì c’è il tocco di professionalità, perché io avendo realizzato tante cose nella vita ed entrando in confidenza con la cliente do dei consigli in base al fisico. Io osservo anche come si muovono le clienti, se è una signora un po’ più elegante nel portamento, se è un po’ più casual.
E un lavoro già terminato?
Ho realizzato una giacca per una signora di 86 anni che pur avendo questo tessuto da molti anni depositato in armadio non trovava una persona che gli realizzasse il capo. Abbiamo accontentato questa signora che ha voluto la classica giacca della sua gioventù. Questa, invece, è la classica camicia di jeans, però di solito le impunture sono gialle, ma la cliente non amava il giallo e abbiamo fatto le impunture rosse.
Gli accessori quanto incidono su un capo dal punto di vista della creazione e dell’interesse del cliente?
Molto, perché per esempio la signora che mi ha richiesto la giacca mi ha subito detto, appena ci siamo conosciute, che le piacevano le cose piuttosto semplici, però con un tocco in più sul bottone, sull’impuntura. Così per la giacca abbiamo scelto un bottone che dia luce e rispecchi la sua personalità, perché è una signora che ama mettere dei gioielli un po’ vistosi.
Lei ha detto che realizza molte camicie su misura. Che cosa richiede la cucitura di una camicia?
Per fare la camicia su misura bisogna essere bravi e precisi nel prendere le misure, perché una volta prese le misure abbiamo tre quarti del lavoro svolto. Poi una volta realizzato il modello per quella persona, viene tagliato. La cucitura della camicia è diversa da quella per il vestito da donna o da uomo perché le cuciture sono sempre e comunque le stesse, quelle ribattute, all’inglese,
con la cucitura pulita sul fianco. Le camicie donna si possono fare con qualche volant, con dei tagli, il modello dell’uomo è più classico, standard e ci si può sbizzarrire solo sul modello del collo, c’è a chi piace il contrasto, una camicia bianca con fiorellini all’interno. Non è una lavorazione lunga e impegnativa, ci sono dei macchinari adatti solo per le cuciture delle camicie, c’è la plastificatrice per i colletti che fa un lavoro leggermente differente da quello manuale, però c’è gente che chiede l’asola fatta a mano e naturalmente ha un costo in più.
Quanta differenza può fare l’utilizzo delle macchine?
Tanto, perché la macchina in cinque minuti fa le asole su tutta la camicia, il collo, l’abbottonatura, i polsini. Per farla a mano una persona esperta impiega due, tre ore. La differenza è tanta, sia qualitativamente, sia economicamente che a vista. Le macchine comunque aiutano e io ne ho tante, perché ognuna svolge un lavoro diverso: una è per il pellame, una è la classica macchina che si può usare anche in famiglia con delle particolarità, perché permette di lavorare anche coi i tessuti elasticizzati, un’altra è la classica taglia e cuci che dà un enorme mano nelle rifiniture dei tessuti, un’altra è definita “sottopunto” e fa i classici orli invisibili ai pantaloni ma a livello industriale. Anche nel lavoro fatto a macchina c’è bisogno della precisione, delle attenzioni particolari, c’è tanta manualità. Io queste le paragono un po’ alle macchine che vanno per strada, c’è bisogno di dosare bene il piede, perché essendo delle macchine industriali, se uno schiaccia il pedale partono all’improvviso e invece alcune cuciture bisogna farle piano.
Quanto incidono i consumi elettrici nella gestione della vostra attività?
Uno sa già a cosa va incontro, perché le luci perennemente accese, il ferro da stiro, le macchine, sono cose a cui non puoi sottrarti. Noi spendiamo 300-350 euro ogni due mesi, è un consumo considerevole in uno spazio di una cinquantina di metri quadrati.
Questo tipo di lavoro comporta problematiche particolari per la salute?
Un disturbo che abbiamo noi sarte è la cervicale per la posizione che assumiamo durante il lavoro, possiamo essere soggette ad artrosi alle mani e poi si possono avere problemi alla vista.
Ha avuto dei clienti famosi?
Abbiamo fatto una camicia per il famoso ballerino Paganini. È una persona deliziosa, chiese una camicia grigio perla, molto semplice, con le iniziali. È venuta anche qui in negozio la signora Enrica Bonaccorti, ci siamo messe a chiacchierare, ha fatto i complimenti al negozio e mi disse “Peccato, signora, che lei abita così lontano, altrimenti sarei venuta volentieri, perché ho sempre da sistemare un sacco di roba”. Per me tutti i clienti sono uguali e vanno serviti allo stesso modo, però ci ha fatto piacere.
Cosa le dà più soddisfazione nel suo lavoro?
Quando si realizza il capo di sana pianta. Per esempio, nel caso dell’abito da sposa, vedere il sorriso della ragazza, la sua gioia mi ha ripagato più del denaro stesso. Quello che mi soddisfa di più a prescindere è la felicità del cliente quando mi ringrazia proprio di cuore, quello mi fa stare bene.