“Ciccillo” a Ciampino – La lunga storia della famiglia Di Pietro

Barba e capelli di padre in figlio, secondo tradizione.

“A tredici anni facevo la barba col rasoio”

di Maria Lanciotti


Una premessa necessaria, grazie alla disponibilità dei fratelli Lina e Tonino Di Pietro, per districare e ricomporre la storia familiare e lavorativa di una delle famiglie che più contribuirono allo sviluppo di Ciampino (Roma).

Tutto inizia quando Maria Cirelli e Sebastiano Lato, operaio nelle Ferrovie dello Stato alla Stazione Barra di Napoli, entrambi di Teano, si trasferiscono a Ciampino nel 1927 e aprono un forno e alimentari in via Col di Lana. Il terzo forno a Ciampino, dopo quelli di Del Bufalo e di Avaltroni.

Albino Di Pietro, classe 1904, di Roccabascerana in provincia di Avellino, faceva il barbiere. Si era prima trasferito a Milano, ma non si era trovato bene. Lascia Milano e viene a Frascati da una sua zia, Angelina. Per lavoro gli viene consigliato di spostarsi a Marino e qui – come d’uso – gli viene dato un soprannome e d’allora sarà conosciuto come Ciccillo. Da Marino si trasferisce a Ciampino e apre la sua bottega unisex in Viale del Lavoro unitamente a Elsa Cassani parrucchiera.

E qui le linee convergono: Albino Di Pietro conosce Vincenza Lato, classe 1913, e nel 1933 si sposano e avranno 6 figli: cinque femmine e Antonio (Tonino) unico maschio nato a Marino nel 1940.

Nel dopoguerra Albino apre la sua bottega di barbiere di fronte alla Cantina Sociale Cooperativa di Marino costituita nel 1945, mentre Vincenza si attiva per la vendita ambulante di merceria al mercato giornaliero che si faceva a Ciampino, tra via IV Novembre e Viale del Lavoro, e apre in seguito il negozio di merceria e abbigliamento in piazza Trento e Trieste.

Nel 1953 Albino chiude bottega e collabora all’attività commerciale. Mentre la figlia Carolina (per tutti Lina) avvia con la sorella Maria in via IV Novembre il negozio di parrucchiera per signora.

Tonino, cresciuto nella bottega di barbiere – “A tredici anni facevo la barba col rasoio” –  passa con le sorelle a fare il parrucchiere.

Quando alla fine degli anni ’60 l’aeroporto, che portava a Ciampino tanto lavoro, si sposta a Fiumicino, tutte le attività ne risentono e comunque un clima d’incertezza subentrò all’entusiasmo e l’azzardo del dopoguerra. La famiglia Di Pietro decide che sono in troppi a mandare avanti le attività in ribasso e Maria apre a Marino in Via del Corso il suo negozio, coadiuvata da Tonino che si divide fra i due locali. Poi Maria si sposa e si chiude a Marino.

Nel 1959 muore Albino e la famiglia si trasferisce in via Trieste come negozio e come abitazione. Nel Duemila cessano le attività e tutti vanno in pensione.

Ricorda Tonino:

Nicola Ladaga, ex militare in pensione, si presentò a bottega tutto nero. Aveva scaricato il carbone per il riscaldamento della sua villetta in via Gorizia, e una volta sbarbato uscì dal negozio che aveva solo la faccia bianca.  Nella bottega si parlava di donne, si facevano chiacchiere su una certa signora che spingendo la carrozzina del figlio ancheggiava, si parlava di sport, specialmente di calcio. Ancora capitavano, nel dopoguerra, diversi clienti con i pidocchi, per lo più ragazzini, era un problema! Dopo si buttava tutto all’aria e si disinfettava da cima a fondo. Il taglio dei capelli si faceva allora ogni tre mesi, era una spesa. Una barba costava 50 lire, il taglio dei capelli 80/100 lire. Il nostro concorrente era Achille Nobile, con la bottega a 300 metri sulla stessa strada. Una concorrenza che si giocava sui prezzi, era guerra!

Lina:

All’inizio se papà non faceva una barba, mamma non poteva fare la spesa. Andava alla pizzicheria di Martella e al momento di pagare diceva che aveva lasciato a casa il portafoglio. In casa avevamo tre stanze per otto persone, e mamma si affittava una stanza a gente dell’aeronautica. Una volta ci portarono al negozio una bambina di pochi anni per farle la permanente perché la madre genzanese voleva la figlia riccia, come aveva visto sulla réclame del “Burro Gallone

Dopo altri aneddoti e curiosità si va sul personale, ponendo qualche domanda. Lina intanto si è dovuta assentare, ci rivolgiamo a Tonino:

È stato per lei soddisfacente il lavoro in barberia?

No, non ho avuto soddisfazione. Per la mia età ero troppo carico di responsabilità. Ho fatto questo lavoro perché obbligato, dovevo controllare bottega e personale quando ancora andavo a scuola e  con scarso profitto. Tanto che i compiti spesso me li facevano i lavoranti”.

Che lavoro le sarebbe piaciuto fare, potendo scegliere?                                                           

La meccanica. La mia intenzione era di andare a lavorare in aeroporto, motorista o altro. A tredici anni mi scontrai con mio padre. Era il periodo della lavorazione delle vinacce e a Ciampino c’era l’enopolio e la distilleria. ‘Io lascio bottega e vado a lavorare alla Cantina Sociale’ dissi a mio padre. Mi ero informato. Lì mi avevano promesso che finito il lavoro delle vinacce mi avrebbero messo in officina. Infatti andai e ci lavorai per un paio di mesi, ma per  le continue discussioni in famiglia lasciai e tornai a bottega. Mio padre si tirò indietro affidandomi la conduzione e l’amministrazione del locale. Mia madre mi confidò in età avanzata il suo rammarico perché non mi era stato permesso di ‘volare per conto mio’.

Poi suo padre venne prematuramente a mancare. Lei fece altri tentativi per cambiare lavoro?

Nei primi anni ’60 avevo fatto un corso a Parigi per aggiornamento gestito da L’Oréal. Un bagaglio che arricchiva la professione. In seguito a quella bella occasione provai nel 1965 come grossista per parrucchieri, trattando buone marche. Non andò bene: non sapevo chiedere i soldi, i clienti mi raggiravano. Un anno di lavoro in perdita. Per la tentata vendita nei dintorni di Roma incontrai quella che sarebbe diventata mia moglie, parrucchiera a Tivoli. Aveva il suo negozio, che lasciò a una sua sorella e venne a Ciampino a lavorare da noi, mentre Lina nel ’68 lascia e passa all’abbigliamento.

A fine attività, lei e la sua famiglia, vi siete ritenuti tutelati come categoria nel vostro ambito lavorativo?

Come si è detto, dal Duemila siamo tutti in pensione. Il Sindacato allora funzionava. Intorno agli anni settanta si lottava con la CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) per ottenere una legge che regolasse la distanza fra un negozio e l’altro. All’epoca abbiamo preteso, e siamo riusciti ad ottenere, una legge che poi è andata per aria: poter cedere la propria attività avviata per un compenso. Praticamente un indennizzo per una vita di servizio in regola e tutto a proprio carico, come per tutti i lavoratori autonomi. Dopo il vantaggio enorme di quella regolamentazione, poi saltata, si cambia passo.

E si volta pagina. Nell’insieme, come valuta oggi la sua esperienza lavorativa?

Oggi come oggi, per quanto il lavoro svolto mi abbia lasciato anche tanti rimpianti, potendo ricomincerei.

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