Con oltre un milione di imprese e 2,6 milioni di addetti, il settore artigiano resta una colonna portante dell’economia italiana, pur dovendo oggi affrontare nuove sfide strutturali e di modernizzazione.
di Sara Domenici
Il motore silenzioso dell’economia italiana
L’artigianato rappresenta da sempre una delle colonne portanti del sistema produttivo italiano.
A fine 2021, in Italia si contavano oltre un milione di imprese artigiane, che davano lavoro a circa 2,6 milioni di persone, equivalenti al 21,2% dell’intero tessuto imprenditoriale nazionale.
Quindi, un settore davvero esteso, ma al tempo stesso fortemente frammentato, con una media di 2,6 addetti per impresa.
Nonostante la dimensione ridotta, queste attività generano un valore aggiunto complessivo pari a 154 miliardi di euro, confermandosi come una componente essenziale dell’economia nazionale.
Un’identità definita dalla legge
L’artigianato italiano è regolato dalla Legge 443 del 1985, che ne definisce i confini.
Secondo questa normativa, un’impresa può essere considerata artigiana solo se l’imprenditore partecipa personalmente al lavoro produttivo e ne assume la piena responsabilità. Un requisito che sottolinea il legame diretto tra chi crea e chi gestisce l’attività, distinguendo nettamente l’artigianato da altre forme d’impresa.
La legge esclude le attività agricole e commerciali, a meno che non siano solo accessorie a quella principale, mantenendo così chiaro il carattere dell’artigianato come lavoro manuale e specializzato.
Sul fronte strutturale, il settore è dominato dalle ditte individuali, che rappresentano il 73% delle imprese artigiane. Si tratta di realtà spesso a conduzione familiare, dove l’imprenditore è anche l’artigiano che realizza il prodotto.
Geograficamente, la maggior parte di queste imprese si concentra nel Nord Italia, dove il tessuto produttivo è più articolato e specializzato, con un forte legame con la tradizione manifatturiera del Made in Italy.
Al contrario, nel Centro-Sud si trovano realtà più piccole e meno integrate nei grandi circuiti industriali, una differenza che evidenzia le sfide legate allo sviluppo equilibrato del settore su tutto il territorio nazionale.
Radici nei settori chiave del Made in Italy
Il contributo dell’artigianato è particolarmente rilevante in due ambiti strategici: la manifattura – 58,7% – e le costruzioni – 52,6% –.
Nella manifattura tradizionale del Made in Italy — alimentare, tessile, legno, pelletteria — la presenza artigiana è ancora più marcata.
Anche nei servizi, spesso meno considerati nel dibattito pubblico, l’artigianato gioca un ruolo cruciale: basti pensare che rappresenta il 75,2% della cura della persona (parrucchieri, estetisti, artigiani del benessere) e il 47,3% del settore dei trasporti.
Un settore in bilico: tra declino e segnali di ripresa
Negli ultimi quindici anni, l’artigianato italiano ha attraversato un periodo di graduale declino.
Il numero di imprese è passato da 1,48 milioni nel 2008 a 1,26 milioni nel 2023.
Un calo che va ben oltre i dati: è il risultato di problemi strutturali profondi, come l’invecchiamento degli imprenditori, il difficile ricambio generazionale, la concorrenza aggressiva della grande distribuzione, la tendenza dei consumatori verso prodotti sempre più economici e la difficoltà cronica nel trovare manodopera qualificata.
Eppure, nonostante gli ostacoli, il settore ha saputo reagire. Tra il 2020 e il 2022, nel pieno della ripresa post-pandemica, il fatturato è cresciuto da 36 a 58 miliardi di euro. Anche l’occupazione è aumentata, con gli addetti passati da 380.000 a 421.000.
Numeri che raccontano un artigianato vivo, resiliente, capace di rimettersi in gioco e di continuare a contribuire in modo concreto all’economia del Paese.
Le criticità strutturali da affrontare
Nonostante il suo peso economico e culturale, l’artigianato italiano fatica a superare ritardi significativi legati all’innovazione e alla modernizzazione.
Solo poco più del 17% delle imprese ha adottato soluzioni digitali, mentre oltre la metà resta ferma senza introdurre nuove innovazioni negli ultimi anni.
A complicare ulteriormente il quadro, quasi tre imprese su quattro non sono presenti sui mercati internazionali, perdendo così preziose occasioni di crescita.
Questi dati disegnano un orizzonte complesso per un settore che, in un contesto globale sempre più competitivo, deve necessariamente puntare su flessibilità e tecnologia per restare al passo.
Punti chiave per la crescita e l’innovazione
Non tutto è perduto: le possibilità di rilancio del settore artigiano sono concrete, a patto di puntare su alcune leve strategiche.
La transizione digitale può giocare un ruolo fondamentale: strumenti come la stampa 3D, i software CAD, l’e-commerce e le piattaforme online possono rinnovare profondamente il modo in cui l’artigiano produce, vende e si relaziona con il cliente.
Anche la sostenibilità ambientale rappresenta una frontiera promettente, in grado di attrarre un pubblico sempre più attento e consapevole.
Inoltre, la formazione professionale, soprattutto per i giovani, è essenziale per assicurare un passaggio generazionale efficace e mantenere vive competenze che rischiano di scomparire.
Conclusioni
L’artigianato italiano è molto più di un settore produttivo: è una rete viva di persone, mestieri, tradizioni e territori. Ogni bottega non è solo un luogo di lavoro, ma spesso anche uno spazio di relazione, di trasmissione del sapere, di identità locale.
In molte aree del Paese, soprattutto quelle più fragili, l’artigianato rappresenta ancora oggi una delle poche vere occasioni di occupazione stabile e qualificata.
Nonostante il calo del numero di imprese e le difficoltà strutturali, il settore non ha perso il suo valore sociale né la sua capacità di reinventarsi. Ha continuato a innovare nel silenzio, a formare nuove generazioni, a tenere viva una cultura del fare che da sempre caratterizza l’identità produttiva italiana.
Guardare al futuro dell’artigianato significa investire in formazione, tecnologia e sostenibilità, ma anche riconoscere il ruolo che questo mondo svolge nella tenuta sociale del Paese.