Le Botteghe del San Michele a Ripa: un’incredibile opportunità per rilanciare l’artigianato romano

Nel cuore di Roma sorge un Complesso monumentale da sempre culla d’Arte e Artigianato

RIAPRIRE LE BOTTEGHE DEL SAN MICHELE CHIUSE DA OLTRE 40 ANNI SIGNIFICHEREBBE DARE UNA VERA OCCASIONE ALL’ECONOMIA E ALLA CULTURA DI ROMA


Già nel 1723, il San Michele è stato definito “una delle meraviglie di Roma” da Ludovico Antonio Muratori


Quella del Complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande, “una delle meraviglie di Roma”, come è stato definito da Ludovico Antonio Muratori nel 1723, è una vicenda particolare che vale la pena raccontare, sia per l’importanza che risiede nel suo passato, sia per le opportunità che la struttura offre per il futuro.

L’inizio della costruzione del Complesso, con la fondazione di quello che sarebbe diventato l’Ospizio Apostolico del San Michele, rimane un momento centrale della storia dell’istruzione e della formazione nei mestieri artigianali, in quanto segna nel 1686 la nascita delle Scuole delle Arti e dei Mestieri a Roma.

Il Complesso fu edificato in fasi successive nell’area retrostante l’antico porto fluviale, sulla base del nucleo originale voluto da Papa Innocenzo XI Odescalchi e progettato da Carlo Fontana e Mattia de’ Rossi tra il 1686 e il 1689. Le vicende edili ebbero un corso molto tormentato che ne protrasse i tempi per circa 150 anni, tuttavia già dopo pochi decenni, grazie soprattutto all’impegno di papa Innocenzo XII Pignatelli, la fabbrica del San Michele aveva raggiunto quasi i due terzi dell’attuale sviluppo.

Alla realizzazione della struttura,che infine raggiunse dimensioni notevolissime, contribuirono illustri architetti tra cui, oltre ai già citati Fontana e de’ Rossi, Nicola Michetti, Ferdinando Fuga e Luigi Poletti. Nel tempo la fabbrica ebbe così modo di ampliarsi, divenendo un vero e proprio centro polifunzionale con ospedale, orfanotrofio, ospizio e carcere per minori e donne.

Quando fu progettata, la “cittadella” rappresentava una grande novità nelle politiche assistenziali dello Stato Pontificio, in quanto era finalizzata a offrire ai giovani bisognosi non solo un ricovero, ma anche una formazione, attraverso l’insegnamento di un mestiere che li rendesse autonomi una volta completati i corsi.


Fino al 1870, il San Michele è sempre stato sede di fiorenti attività artigianali


A questa importantissima funzione sociale, in cui si può scorgere, per dirla con le parole dell’architetto Roberto Di Paola, “il segno anticipatore di una mentalità ‘illuminata’ e moderna”, si affiancò tuttavia sempre più la funzione formativa e pratica. In questo senso un primo ruolo importante lo ebbe Papa Clemente XI Albani, grande appassionato d’arte che molto si adoperò per l’istruzione professionale a carattere artistico e artigianale. Così, dagli albori e soprattutto dagli anni del suo pontificato fino al 1870, il Complesso del San Michele è sempre stato sede di fiorenti attività artigianali. All’esordio, le scuole artistiche del San Michele comprendevano piccoli laboratori di falegnameria, di rilegatoria, di calzature e di cordami.

Più tardi, nel 1703, proprio sotto il pontificato di Clemente XI, sorse il lanificio, la prima struttura creata con criteri davvero professionali e che avrebbe provveduto all’intero rifornimento dell’esercito e della Camera Apostolica.

Ma l’officina di maggior rilievo nella storia del San Michele fu senza dubbio l’arazzeria, così fiorente da indurre, durante il periodo della Repubblica Romana (1798-99), i francesi a chiuderla per contrastare la concorrenza fatta ai celeberrimi arazzi dei Gobelins.


La storia del San Michele ha visto insegnanti di spicco e personalità illustri


Nel tempo le officine del San Michele divennero una vera e propria fucina accademica di artisti: importanti personalità di spicco furono chiamate alla guida della Scuola e, quando nel 1830 ne assunse la presidenza Monsignor Antonio Tosti, il San Michele raggiunse il momento di massimo splendore.

Grazie infatti anche agli importanti contatti che il cardinale ebbe con Antonio Canova e con l’Accademia di San Luca, nei programmi didattici furono coinvolte importanti personalità dell’epoca. Nel XIX secolo uscirono dalle scuole del San Michele personalità illustri, tra cui gli incisori Luigi Calamatta e Paolo Mercuri e gli scultori Luigi AmiciAdamo Tadolini.

Il declino per il San Michele iniziò quando, con l’Unità d’Italia, venne meno il supporto da parte del papato alle attività assistenziali e si concluse nel 1938, quando l’Istituto Romano San Michele, sorto dieci anni prima dalla fusione dell’Ospizio di San Michele e dell’Orfanotrofio di Santa Maria degli Angeli, spostò la propria sede nel quartiere di Tor Marancia. Nel Complesso, fino al 1972, rimase attivo solo un carcere minorile.

La seconda guerra mondiale fece dell’ormai abbandonato San Michele un rifugio per sfollati, accelerandone il processo di degrado. Così nel 1969 il Complesso fu acquisito dallo Stato per accogliere gli uffici dell’allora Direzione generale antichità e belle arti e a partire dal 1973, dopo una fase preliminare di studi e ricerche, furono avviati sostanziali interventi di consolidamento e restauro.

Ancora oggi il San Michele ospita diversi uffici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

L’opera di riqualificazione iniziata negli anni ’70, tuttavia, non ha visto la riapertura delle 36 botteghe del San Michele, rimaste quindi chiuse da oltre 40 anni, nonostante l’intenzione nel 2004 di ripristinarle dell’allora Ministro Giuliano Urbani. Infatti già tredici anni fa le istituzioni affermavano: “Partendo dalla riapertura della Taverna Spagnola, già importante centro di scambio culturale nell’Europa dell’800, e dalla progressiva riapertura delle antiche botteghe artigiane, affacciate sul Lungotevere Porto di Ripa Grande, il San Michele ritorna ad assumere la funzione di polo di coinvolgimento di attività artistiche e divulgative, divenendo punto d’incontro tra la tradizione e il futuro, tra l’artigianato e le neo tecnologie, tra l’arte e la comunicazione”.


Con la riapertura si darebbe all’artigianato romano un nuovo cuore pulsante


Il progetto rimane ancora vivo nel cuore di molti. Di questo desiderio, tra i principali portavoce si fanno negli ultimi anni i promotori del progetto per il “Made in Rome, l’idea partecipata nata nel 2011 dall’iniziale intuizione dall’architetto Cristiano Mandich che promuove il Saper Fare Creativo in chiave di tradizione e di nuove economie digitali, per generare un nuovo rinascimento dell’artigianato romano.

Le botteghe assieme agli Edifici e l’Area del Complesso dell’ex Arsenale Pontificio di Porta Portese rappresentano infatti un quadrante urbano importantissimo – contiguo con il Centro Storico, con il Foro Romano, con Trastevere, con l’Aventino, con Testaccio – come si è visto dalla valenza storica fortissima e dalle ideali caratteristiche funzionali.

Secondo il progetto per il “Made in Rome” la loro riapertura consentirebbe di attivare uno spazio polifunzionale e permanente espositivo, dimostrativo, di promozione e di vendita di prodotti autentici e di qualità dell’artigianato artistico romano, sia tradizionale che innovativo. L’iniziativa è pensata, inoltre, in un’ottica di promozione del turismo, attraverso eventi attrattivi ed iniziative di comunicazione nell’ambito dei percorsi organizzati.

Con questo progetto, le botteghe e l’arsenale diventerebbero, insomma, il nuovo cuore pulsante dell’artigianato artistico e creativo romano, ponendosi come obiettivo anche quello di contrastare il dilagare sul mercato di prodotti di bassissima qualità e di indefinita provenienza, che penalizzano uno dei tessuti produttivi di maggiore pregio, immagine e motore di economia per la Città di Roma.

Queste le intenzioni del Consorzio FaròArte promotore del progetto per il “Made in Rome”, che assieme a Confartigianato Imprese Roma ha intrapreso un dialogo con il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini per caldeggiare la riapertura delle botteghe, attraverso anche l’intermediazione nel 2014 dell’allora sindaco Ignazio Marino che, con una lettera rivolta al Ministero, aveva dichiarato la disponibilità della propria amministrazione a supportare il progetto di riapertura, mettendo il luce “l’importanza che le botteghe, i mestieri, le maestranze hanno avuto nella storia artistica, culturale ed economica della nostra Città”.

La speranza è che alle dichiarazioni fatte il 19 gennaio 2016 in occasione di una riunione conviviale organizzata al Caffè Greco dalla fondazione Roma Europea, quando il Ministro Franceschini ha annunciato l’intenzione di riattivare gli spazi artigiani delle Botteghe del San Michele, faccia seguito presto la riapertura. Un’azione dalla forte valenza politica, importante non solo perché incentiverebbe il turismo e l’economia di Roma, ma anche perché darebbe alla cultura, al saper fare, all’arte, lo spazio che merita: quello che è sempre stato di tutti.


QUALCHE DATA
• 1686 – Nasce il San Michele
• 1830 – Diventa presidente Monsignor Tosti, sotto la cui guida la Scuola raggiungerà il momento di massimo splendore
• 1973 – Cominciano le opere di ristrutturazione
2011 – Nasce l’iniziativa per il “Made in Rome”, importante portavoce del progetto di riapertura delle botteghe


L’articolo è stato scritto e pubblicato come Cover Story del n.1 di Aprile-Giugno 2017 del Magazine on lineRoma Artigiana” edito dalla Confartigianato Imprese Roma

Ringraziamo la Redazione della Rivista e la Confartigianato Imprese Roma che hanno voluto dedicare l’apertura della nuova pubblicazione al tema delle Botteghe del San Michele, richiamando i contenuti del progetto per il “Made in Rome” promosso dal Consorzio FaròArte fin dal 2011.

Questo il link per aprire e scaricare la rivista in formato PDF

4 comments for “Le Botteghe del San Michele a Ripa: un’incredibile opportunità per rilanciare l’artigianato romano

  1. Ho potuto vedere gli interni di questo complesso tanti anni fa, per un Convegno di Antroposofia. È Un complesso che veramente potrebbe essere utilizzato per attività di artigianato, arte, cultura: sempre. Partecipo a questa richiesta e condivido molto volentieri. Vi ringrazio per questa iniziativa.

  2. sono anni che se ne parla, di dare le famose botteghe ad artigiani e artisti
    ma a tutt’oggi nonostante ci siano stai amministratori sensibili e di prestigio a partire dal centrosinistra, l’ormai progetto ancora non decolla
    invece potrebbe dare un po’ di sollievo a artigiani e mi ripeto artisti di vari generi che oramai stanno per diventare dei barboni e rischiano di andare a mangiare alla Caritas, io nel mio piccolo presentai un bel progetto al comune di Roma e l’allora sindaco Veltroni ne restò entusiasta ma finì come tutti i bei progetti nel cassetto, ” La casa dell’Artista ” che prevedeva assistenza in tutti i sensi, dalla medica al sostegno economico e allogiativo, che poteva anche essere autogestito con dei laboratori, mostre e scuole di mestieri ormai quasi dispersi, parlo del fabbro, del ebanista falegname e tanti altri lavori che ormai si sono perse le tracce. immaginatevi quanti brave persone anziane sarebbero disposti a celare i loro saperi? io son sicuro che sarebbero tantissimi, dal pittore allo scultore, dall’attore al poeta, dal liutaio al fabbro, dallo sceneggiatore al costumista di cinema e teatro, non finirei mai di elencarvi tutti ma li lascio a voi immaginare

  3. Gentili Signori,
    come ho già avuto modo di scrivere sulla Vostra rivista, le botteghe sono state chiuse il 1° dicembre del lontano 1962. Sono -quindi- più di quaranta anni.
    Cordiali saluti
    Oscar Guarnieri

  4. Ho lavorato come hostess di terra museale alla sala Clementina al civico 25, ormai adibito purtroppo a cinema.Non sono una ministeriale, bensi un privato, che esulterebbe di gioia se venissero aperte le botteghe non solo per promuoverne la conoscenza ma anche per aprire spazi espositivi e favorire un po’ di lavoro a noi tutti! Si anche a me che ho collaborato in questo arsenale per ben 13 anni….

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