“Il mestiere di barbiere non andrà a morire ma viene assorbito dal parrucchiere. Più passa il tempo e meno ci sono nuove leve. Col mestiere nostro non sanno quello che si perdono”
Bruno Pallotti, un’istituzione a Piazza Mazzini a Velletri. La piazza ‘dabballe’ guardata a vista dalla seicentesca fontana progettata dal Bruni che fra le varie peripezie ha attraversato i secoli senza perdere nulla della sua imponenza. Simbolo di questa zona a sud della città che più d’ogni altra conserva e custodisce lo spirito dell’antico borgo e dei ‘dabballari’ che nel tempo vi hanno abitato. Bruno, nato e cresciuto in via Crispino “nella parte vecchia”, amante della storia locale – tra l’altro curatore con Luigi Bartelli del volume antologico “Piazza Mazzini e la sua fontana” – si colloca tra i difensori più accesi di quanto costituisce e caratterizza la vita comunitaria del luogo, esercitando nella sua bottega di barbiere le stesse prerogative degli antichi artigiani. Rinnovarsi sì, ma in controtendenza, senza cedere alle lusinghe di un mercato che incita al mero profitto, ma curandosi della qualità del servizio e del rapporto umano che stabilisce con ogni suo cliente.
intervista a Bruno Pallotti
Bruno, oltre mezzo secolo di barba e capelli: quando e come inizia la sua professione di barbiere?
Sono nato a Velletri nel 1950. Non ho fatto nemmeno la scuola dell’obbligo, dopo la quinta elementare subito al lavoro. All’epoca non ti facevano stare tanto in piazzetta, noi ragazzini facevamo giochi di strada, nizza, fionda, e per non sentire lamentele e non creare problemi in famiglia ti mandavano subito a imparare il mestiere. Io andai da Giuseppe Grillo in via Collicello, al centro. Era dura per un ragazzo stare a bottega. Mi davano qualcosa a fine settimana, poi “ragazzo spazzola!” e i clienti ti davano la mancia. A Natale le mance si facevano con i calendarietti profumati, ancora li conservo. Sono rimasto due anni da Giuseppe, che ringrazio per avermi insegnato tante cose, poi sono andato da Spartaco Lambiase, sempre a Velletri.
Come mai cambia bottega?
Per cercare di guadagnare qualcosa in più. Il 5 giugno 1966 ottengo il libretto di lavoro come apprendista barbiere.
Poteva anche decidere di cambiare mestiere, qualcosa in particolare la convinse a seguire un indirizzo lavorativo che poteva essere occasionale?ì
Io ho un fratello che fa il barbiere, Michelangelo Pallotti. Anche lui aveva fatto l’apprendistato ed era un lavorante in gamba. Quando si cominciava a guadagnare, lui già più scaltro, io più piccolo di quattro anni, abbiamo deciso di metterci in proprio. Iniziamo nel 1969 in via del Comune, in un negozio rilevato da un altro barbiere che aveva chiuso. A 19 anni, da lavorante nel negozio con mio fratello, ho fatto il primo taglio.
Due barbieri in famiglia, una tendenza?
In quella bottega in via del Comune oggi c’è mio nipote, Fabio Pallotti figlio di Michelangelo.
E la storia continua… Come proseguì la vostra attività in via del Comune, fino a quando rimaneste insieme?
Un anno dopo l’apertura, nel 1970, io partii per il servizio militare. Congedato a giugno del 1971, tornai al lavoro e rimasi con mio fratello, sempre in pieno accordo. Intanto mi ero sposato nel 1975 e avevo due figli. Restammo insieme fino a gennaio del 1980.
Una data che ricorda con precisione, legata a quale avvenimento?
Sì, la ricordo esattamente, ne spiego pure il motivo. A piazza Mazzini aveva chiuso l’attività Fernando Natale Melucci, che era andato in pensione e non stava bene in salute. Era il periodo di Sant’Antonio abate e quella domenica si batteva l’asta per lo stendardo. Una tradizione antichissima. E a quest’asta c’era Fernando. Io lo vado a cercare per parlare del negozio, col timore che non me lo volesse dare.
Perché temeva che Fernando non volesse cedergli l’attività?
Questa bottega da barbiere c’era dal 1947, iniziata da Fernando, proprietario anche del locale che aveva lasciato completamente arredato. Lui aveva fatto una vita a piazza Mazzini, era appassionato del suo lavoro, ci credeva.
E comunque ci andò a parlare…
A parlare non ci si rimette nulla. Gli dissi che se il locale lo dava a me io avrei ripreso l’attività di barbiere. Fernando, interessato all’asta, disse che ci saremmo sentiti l’indomani, insieme al figlio. Dalla domenica al lunedì, abbiamo fatto il contratto. Fernando in sostanza ha avuto fiducia, forse mi ha passato l’attività perché rimettevo il barbiere. Per me una grande soddisfazione, mi sono buttato a capofitto, dovevo rimettere in ordine il locale, licenze eccetera. E subentro in agosto. Finché non è venuto a mancare, Fernando veniva a darmi una mano, mi passava la sua clientela, tutti amici di vecchia data.
Da garzone di bottega a titolare di un’attività storica. Si può immaginare fra alti e bassi, anche se la sua categoria è rimasta salda quando altre crollavano. Come vive oggi la sua professione?
Prima davanti a noi avevamo una prateria, nell’arco di cento metri c’erano cinque colleghi. Oggi come oggi sono rimasto solo sulla piazza. Le nuove leve adesso fanno maschile e femminile, tutta un’altra condizione che richiede personale qualificato. Tutti i miei colleghi, se i figli hanno ripreso la loro attività, li portano su quel binario.
Il suo mestiere è destinato a finire?
Il mestiere di barbiere non andrà a morire ma viene assorbito dal parrucchiere. Per essere un buon parrucchiere devi prima fare il barbiere, i più bravi parrucchieri vengono dalla scuola dei padri barbieri.
È stata una sua precisa scelta rimanere barbiere? Non ha mai seguito corsi di aggiornamento?
Negli anni ’80 feci un corso di aggiornamento per parrucchieri a Nettuno, Arte e Stile dell’Acconciatura, e i maestri erano tutti barbieri. Tutta gente che aveva fatto la gavetta e lì insegnavano. Potevo seguire quel binario ma ho fatto la mia scelta: fare solo il maschile ma farlo bene, nella mia misura.
Una scelta accorta, al barbiere non si può certo rinunciare. Il suo mestiere garantisce tuttora una certa sicurezza?
Come artigiani si andava bene, io ci ho portato avanti la famiglia con decoro. Fino all’ingresso dell’euro e la globalizzazione. Con l’euro non si è capito il valore del centesimo. Poi troppe spese, troppe tasse. Non si può pagare su una prestazione di servizio il 22%, l’uomo si contenta facilmente e su cifre basse non si evade.
Il futuro di suo nipote barbiere?
Il padre gli ha passato l’attività, gli ha insegnato il mestiere e come affrontare la vita: avere l’occhio lungo, acquistare almeno le mura del locale ti dà l’avvenire, una liquidazione del tuo lavoro.
Lei questo l’ha fatto, il locale è di sua proprietà. Lavora da oltre mezzo secolo, pensa ancora di continuare?
Io resto finché si va. Dal 2008 sono in pensione ma rimango. Se dovessi trovare qualcuno che rileva l’attività, come ho fatto io con orgoglio e passione come l’aveva Fernando, la cederei. Ma non trovo nessun italiano che la voglia, neanche regalata. I sacrifici non li vogliono fare.
Perché cedere l’attività solo agli italiani?
Per il valore del nostro artigianato. E perché il lavoro nero ha rovinato il mercato. Le tasse le devono pagare tutti. Questa è la mia opinione.
Qualche rammarico?
Sono soddisfattissimo, solo un rammarico: più passa il tempo e meno ci sono nuove leve. Col mestiere nostro non sanno quello che si perdono, quando se ne renderanno conto sarà troppo tardi. Un mestiere dove c’è sempre da imparare. Un bagaglio bello, deve rimanere nella testa il lavoro e i contatti umani che comporta. Se non sei orgoglioso del tuo lavoro, chiudi baracca e burattini e via.
intervista a cura di Maria Lanciotti
Con qualche migliaio di persone come lui, non solo barbieri, torneremmo in poco tempo forse anche la sesta potenza. Stato permettendolo,ovviamente.
con piacere segnaliamo che l’intervista a Bruno Pallotti del maggio 2017 è stata ripresa su “Castelli Notizie”:
https://www.castellinotizie.it/2023/01/04/velletri-la-testimonianza-di-bruno-pallotti-dallintervista-del-2017-il-mestiere-di-barbiere-sara-assorbito-dal-parrucchiere/