Ringraziando per la citazione, rilanciamo volentieri l’intervista di Giulia Mura al Designer Alessandro Gorla dello Studio Algoritmo pubblicata sul blog ArtTribune.
Attivo dal prodotto all’interior design e alla grafica, lo studio di progettazione di base a San Lorenzo è tra le realtà più dinamiche della Capitale. Abbiamo incontrato il suo fondatore, Alessandro Gorla.
Il nome di Studio Algoritmo, studio di progettazione romano che si occupa di product, interior e graphic design, oltre a far riferimento a un’idea di calcolo e di processo ‒letteralmente “una sequenza ordinata di passi semplici che hanno lo scopo di portare a termine un compito più complesso” ‒ nasconde una curiosità. Al suo interno, infatti, sono inscritte le iniziali del suo fondatore, Alessandro Gorla, classe ’75, approdato a Roma nel 2001 dopo una laurea in product design al Politecnico di Milano. Anche il logo scelto per rappresentarsi nasconde due indizi/riferimenti al lavoro dei designer di ieri e di oggi: la S racchiusa in un cerchio ricorda il tasto della macchina da scrivere Lettera22 della Olivetti ‒ un omaggio diretto ai Maestri – e la A, contenuta invece in un quadrato, è il riferimento al tasto del MacBook Pro della Apple, lo strumento utilizzato oggi dallo studio. Passato e presente, oltre ai progetti nascosti nel cassetto e a quelli in via di realizzazione, come la creazione di un Palazzo dell’Artigianato nel cuore della Capitale, sono tra gli argomenti che abbiamo affrontato nel corso dell’intervista.
Raccontaci di Studio Algoritmo.
Ho fondato lo studio nel 2013, dopo esperienze in altri studi, come sceneggiatore e come gallerista (RGB46 a Testaccio), con l’obiettivo di fondere la cultura progettuale con quella aziendale e ideare prodotti in grado di risolvere i problemi degli utenti e migliorare i processi produttivi, senza però sacricare il gesto creativo e l’ironia. In quanto glio di un artigiano, ho particolarmente a cuore il tema dalla bottega: ne è esplicita testimonianza la scelta di aprire lo studio proprio dentro un’ex falegnameria – in parte ancora in uso ‒ del quartiere San Lorenzo. Un’officina dove allievi provenienti da scuole di design nazionali e straniere trovano spazio non soltanto per imparare, ma anche per rmare il proprio contributo ai lavori.
Parliamo delle attività collaterali: innanzitutto sei un insegnante, sia a Roma
presso il Quasar Institute of Advanced Design che in Messico, e poi sei anche un animatore culturale!
Sì, per il Quasar sono sia Direttore del Master in Product Design and Made in Italy che Coordinatore del secondo anno in Habitat Design. Insegno anche al Master in Design del Prodotto e gestione del Progetto all’ISAD, Instituto Superior de Arquitectura y Diseño in Messico. Ho inoltre fondato il progetto di intercambio IDE&A, Italian Design Experience & Apprenticeship, programma di alta formazione in design, che porta una selezione di studenti messicani dell’ISAD nel mio studio per circa tre mesi.
I ragazzi hanno la possibilità di vivere esperienze nel campo del design, conoscono i migliori professionisti e realtà del settore, fanno corsi propedeutici alla progettazione, sviluppano progetti per aziende italiane che vengono poi presentati durante la settimana del Salone di Milano. A Roma organizzo anche i Design Match al Palazzo delle Esposizioni, con ADI Lazio e Cieloterradesign.
Quali sono i tuoi obiettivi come designer?
Principalmente, esplorare mondi. Trovare soluzioni semplici a problemi complessi, attraverso una ricerca costante. Un processo anche di consapevolezza personale, che mi ha spinto a voler cercare sempre la poesia. A esprimere i miei valori – come l’attenzione al tema ambientale attraverso lo studio sui biomateriali e sulle bioplastiche – raccontando una storia fatta di storie.
E i tuoi riferimenti, di ieri e di oggi?
I fratelli Castiglioni, Enzo Mari, Joe Colombo e Bruno Munari per la storia del design, Giulio Iacchetti (per il pensiero), Antonio Aricò (per la poesia) e Formafantasma (per la ricerca) per quanto riguarda il contemporaneo.
Con un percorso considerato opposto rispetto alla situazione attuale (tu arrivi da Milano a Roma e non viceversa), cosa pensi della scena del design e dell’artigianato capitolino?
A Roma c’è una strada da tracciare, la città è ancora in cerca di un’identità. Ma c’è molto da scoprire. Mi piacerebbe pensare alla città come a una fabbrica diffusa, un unico immenso distretto. Con il Consorzio FaròArte stiamo dialogando con le istituzioni per realizzare un Palazzo dell’Artigianato, nel cuore della città, un luogo che riunisca tutte le arti e i mestieri degli artigiani romani, molti dei quali rischiano di scomparire. Per salvarli è necessario far sì che i giovani designer imparino da loro tecniche e saperi, ibridando così le loro conoscenze e facendole crescere verso nuove prospettive progettuali.
Descrivici meglio il tuo approccio, in fondo hai diversi oggetti in produzione. Su quali temi stai lavorando, principalmente?
Sto indagando il design primitivo, le sue forme essenziali, archetipiche e altamente funzionali. Questo principalmente per un’idea di qualità associata alla durata nel tempo. Le persone devono tornare a voler bene agli oggetti che ci circondano, solo così ne faranno un uso giusto, come si faceva un tempo, quando gli utensili duravano una vita, erano parte di quella vita. Trovo importante il tema della manipolazione e del legame ancestrale con lo strumento.
Dicevamo, hai diversi lavori in produzione. Ce ne parli?
Sisma, recentemente esposto alla era parigina Maison&Object, è un porta frutta secca e schiaccianoci in marmo prodotto per UpGroup. Sempre in marmo, è la serie di taglieri Marmobianco per L’Abitare Milano. Per la stessa azienda, Selce, spremi limone in porcellana, un oggetto che – a partire dal nome, oltre che dalla forma – ricorda un utensile primitivo, che ci impone di compiere un movimento attivo, seppur semplice. Inoltre, fa parte di una serie di prodotti che, pensati e realizzati in un unico materiale, rendono anche molto più semplice il tema del loro smaltimento: se ci pensate, purtroppo, ancora, quasi tutti gli oggetti di design contemporaneo sono costituiti da una miriade di pezzi assemblati di materiali differenti, cosa che rende difficilissimo il corretto smaltimento delle singole componenti. Fa parte della stessa idea “un oggetto ‒ un materiale ‒ una funzione” anche Olimpo, porta zampirone in ceramica. Daphne, invece, in produzione per Slalom, è la linea di paraventi fonoassorbenti in pet felt – disponibili nelle versioni quercia, frassino, ulivo e alloro ‒ nata osservando mia #glia giocare al parco con foglie e bastoncini.
E poi?
Briscola, tappeto in lana 3 metri x 2, in produzione con Mogg, prende ispirazione dalle carte da gioco regionali (questo, nello speci#co, rappresenta la versione trentina). Mentre Bonjour è uno specchio da tavolo dalle forme morbide che si ispira a un’alba sul mare, realizzato per HIRO Indipendent Design. Ci sono poi alcuni progetti nel cassetto, di cui possiamo svelare solo dettagli: Settimio, un mobile misterioso, alcuni coee table per un interessante brand romano e un progetto innovativo in marmo.
By Giulia Mura – 16 marzo 2020 – ArtTribune