Pier Paolo Pasolini e la Cultura del “Saper Fare”

LA CULTURA DEL “SAPER FARE” A QUARANTA ANNI DALLA SCOMPARSA DI PIER PAOLO PASOLINI

Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e gli artigiani, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo del consumo, allora la nostra storia sarà finita”. (Pier Paolo Pasolini)

Una riflessione di Matteo Tonelli, Presidente della Fondazione per il Centro Studi “Città di Orvieto”

Questa riflessione di Pier Paolo Pasolini, letta fra le tante riproposte nella ricorrenza dei 40 anni dalla morte, mi ha colpito per la sua straordinaria attualità a 40 anni di distanza, oggi che la devastante crisi economica e finanziaria rischia di far implodere proprio “quel” sistema cui Pasolini alludeva.

Forse, più semplicemente, mi ha colpito per la coincidenza che il Centro Studi Città di Orvieto sta lavorando ad un progetto che parte proprio dalla tradizione della produzione artigiana del territorio, ma è un fatto che proprio in questo momento storico si percepisce l’importanza e la valenza del “saper fare”.

Lo sviluppo di un territorio non può che fondarsi sul coinvolgimento e sulla valorizzazione dei suoi caratteri distintivi, innestando su di essi gli elementi di innovazione necessari a realizzare sistemi produttivi in grado di competere sul mercato globale.

Molte delle “nuove professioni” che sembravano il futuro dei nostri giovani sono attività non molto diverse da quei compiti parcellizzati in catene di montaggio, ripetitive e prive di riflessività, in quanto sono semplicemente l’applicazione alienante di procedure standard.

Negli Stati Uniti, ragionando sulle possibili soluzioni alla crisi dopo il crollo finanziario del 2008, è stata da più fonti teorizzata la necessità di ripartire proprio dalle trasformazioni del lavoro, di ripensarsi come “artigiani”, e sono in molti a pensare che per uscire dall’impasse della crisi sia necessario riflettere sulle fondamenta del paradigma della produzione di massa.
Sono in molti a credere che il futuro abbia necessariamente bisogno dei makers, “quelli che fanno le cose”, e della riscoperta di un diverso riconoscimento sociale dei mestieri, anche di quelli più tradizionali.

Non si tratta soltanto di recuperare i mestieri della tradizione artigiana e gli antichi mestieri che in qualche caso se ne sono andati per sempre, ma dell’artigiano vanno inseguiti e recuperati il profilo, le caratteristiche, la passione per la qualità del lavoro, il desiderio di migliorare nell’approfondimento delle tecniche, il suo radicamento nella comunità.

articolo ripreso dal sito del Centro Studi “Città di Orvieto”

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